La carne rosa

Il presente documento è stato redatto al fine di fornire risposte scientifiche ad alcuni aspetti relativi alla carne rosa di suino. Il documento è stato così organizzato:
1) Premessa: il colore della carne
2) Cosa significa carne rosa
3) Come si riconosce la carne rosa
4) Quali caratteristiche definiscono la carne rosa
5) Quali sono le qualità organolettiche che possiede
6) Chi certifica la qualità e la tracciabilità

1) Premessa: il colore della carne
Tra le diverse caratteristiche qualitative della carne suina fresca, il colore risulta particolarmente importante nella decisione d’acquisto perché i consumatori lo utilizzano come indicatore di freschezza e salubrità (Werbeke et al., 2005; Mancini & Hunt, 2005). Il colore della carne dipende principalmente dallo stato chimico e dalla quantità di mioglobina, una proteina presente nel sarcoplasma delle cellule muscolari in grado di stoccare e cedere ossigeno, che risulta influenzata sia da fattori ante mortem, quali l’alimentazione e la genetica, che da altri che esercitano la loro influenza nella fase post mortem, come la velocità di acidificazione o le condizioni di conservazione della carne (Mancini e Hunt, 2005). Altre proteine presenti nel tessuto muscolare, come l’emoglobina e il citocromo C, hanno un ruolo marginale nella determinazione del colore della carne (Joo et al., 2013).
La mioglobina è una proteina idrosolubile costituita da una singola catena polipeptidica di 153 aminoacidi che ingloba un gruppo prostetico (non proteico), detto gruppo “eme”, nel quale quattro nuclei pirrolici eterociclici avvolgono un atomo di ferro bivalente (Fe2+) (Figura 1).

Figura 1. Struttura del gruppo “eme”.

Questo atomo crea quattro legami con i nuclei pirrolici, uno con il residuo dell’istidina ed il sesto rimane disponibile per legami reversibili con l’ossigeno, l’acqua, il monossido di carbonio e l’ossido d’azoto. Lo stato chimico della mioglobina è strettamente legato all’ossigenazione e a fenomeni di ossidoriduzione che coinvolgono l’atomo di ferro. Come è possibile vedere dalla Figura 2, in assenza di ossigeno la mioglobina, indicata anche come deossimioglobina, mantiene l’atomo di ferro bivalente e presenta un colore rosso scuro, quasi violaceo, tipico della carne appena tagliata o di quella conservata sotto vuoto. Al contatto con l’aria, il ferro si lega all’ossigeno e la deossimioglobina diventa ossimioglobina che assume, nella carne suina, un colore rosa brillante (Parthasarathy e Bryan, 2012). L’atomo di ferro rimane bivalente, perché è un processo di ossigenazione e non di ossidazione. La profondità di penetrazione dell’ossigeno e lo strato di mioglobina che si forma al di sotto della superficie di taglio giocano un ruolo importate nel determinare l’intensità del colore che si può apprezzare visivamente. Se la pressione parziale del gas scende a meno di 1,4 mm HG si riforma deossimioglobina.
Il contatto prolungato con l’aria provoca la trasformazione dell’ossimioblobina in metamioglobina, di colore marrone, a causa dell’ossidazione dell’atomo di ferro, che passa da Fe2+ a Fe3+, favorita dalla presenza di perossidi di idrogeno e radicali di ossigeno che vengono formati come sottoprodotti del metabolismo mitocondriale. La presenza di metamioglobina conferisce alla superficie della carne un colore bruno particolarmente sgradito ai consumatori che l’associano a scarsa freschezza e a incipienti fenomeni di deterioramento (Carpenter et al., 2001). Anche se l’imbrunimento dipende da quanta superficie di taglio risulta interessata dalla formazione metamoglobina, altre forme di mioglobina appena al disotto della superficie giocano un ruolo importante sul colore percepito. Infatti, la metamoglobina, presente sotto la superficie e situata tra i sottili strati interni di ossimioglobina e deossimioglobina, gradualmente si addensa e si muove verso la superficie di taglio (Mancini e Hunt, 2005).

Figura 2. Stati chimici della mioglobina e loro relazione con il colore della carne suina (modificato da Parthasarathy e Bryan, 2012).

La concentrazione di mioglobina dipende dalla specie, dall’età, dalla razza e, a parità di tutti questi fattori, dal muscolo considerato. Tra le varie specie di mammiferi d’allevamento di cui consumiamo le carni, la quantità di mioglobina varia da 2 mg/g nella carne suina a 6 mg/g nella carne ovina e a 8 mg/g in quella bovina. L’incremento del contenuto in mioglobina in relazione all’età, e il conseguente inscurimento del colore rosso della carne, si apprezza particolarmente in quella bovina, ove si passa dai 4 mg/g in quella di vitello, agli 8 mg/g in quella di vitellone e ai 18 g/g in quella di vacca. Analogo fenomeno avviene nella specie suina, ma con una variazione più contenuta, che si associa ad una progressiva diminuzione della proporzione di ossimioglobina rispetto alla deossimioglobina e alla metamioglobina (Yu et al. 2017). Sempre rimanendo nella specie suina, a parità di muscolo, le razze locali hanno una colorazione della carne più intensa rispetto a quella delle razze cosmopolite (Pugliese e Sirtori, 2012). Riguardo all’effetto del muscolo, è noto che le cellule muscolari sono classificate in fibre di tipo I (rosse) che sono presenti in proporzioni maggiori nelle masse muscolari deputate a movimenti lenti, continui e ripetitivi e sono ricche in mioglobina, in fibre di tipo IIb (bianche), di maggiori dimensioni, che sono presenti nei muscoli coinvolti in movimenti repentini e discontinui e con un basso contenuto di mioglobina, e in fibre di tipo IIa, che presentano caratteristiche intermedie ai due tipi precedenti (Lefaucheur, 2010). Le differenze di colore tra i muscoli di un suino della stessa razza sono quindi legate alla funzione predominante di questi ultimi e, di conseguenza, dal tipo prevalente di metabolismo che richiede più o meno la presenza di ossigeno per la loro funzionalità. Nel suino, il muscolo bicipite femorale, impegnato nella locomozione, contiene più mioglobina rispetto al muscolo longissimus dorsi e appare, quindi, di colore più intenso (Lindahl et al., 2001).
Come già sottolineato, il colore, oltre che dai fattori sopreccitati, dipende da fattori che agiscono in vivo e post mortem. Tra quelli in vivo, l’alimentazione e la genetica sono tra i più rilevanti. Considerando l’effetto dell’alimentazione, nei suini leggeri le diete di finissaggio con un ridotto contenuto di carboidrati digeribili consentono una riduzione dei composti coinvolti nell’abbassamento del pH post mortem nei muscoli, limitando un’eccessiva acidificazione e le conseguenti alterazioni a carico della mioblobina, con l’effetto di ridurre l’incidenza di carni pallide (Rosenvold et al., 2001). Sono invece diverse, e a volte contradittorie, le indicazioni sperimentali sull’effetto positivo di un’integrazione di vitamina E (dl-α-tocoferolo acetato) nella dieta sulla stabilità del colore della carne suina fresca (Sales e Koukolová, 2011)
Per quanto riguarda la genetica, nella specie suina sono stati identificati due geni principali che influenzano fortemente il calo del pH post mortem, la capacità di ritenzione idrica e il colore. La mutazione nel gene RYR1, noto come gene Alotano, codifica per un recettore della rianodina che fa parte del canale di rilascio del calcio del reticolo sarcoplasmatico ed è responsabile di una rapida diminuzione del pH nelle fasi immediatamente successive alla macellazione. La combinazione tra la rapida acidificazione e l’elevata temperatura del muscolo porta ad una forte denaturazione della mioglobina che si trasforma in metamioglobina, responsabile del colore pallido della carne PSE (pallida, soffice ed essudativa) (Ryu e Kim, 2006). Un altro difetto genetico che influenza il colore della carne suina è dovuto a una mutazione del gene PRKAG3 (Milan et al., 2000). Questa mutazione causa la presenza di un livello di glicogeno muscolare particolarmente alto (+ 70% rispetto a soggetti non portatori della mutazione), in particolare nei muscoli composti prevalentemente da fibre bianche. Ciò provoca una significativa diminuzione del pH e del difetto definito come “carni acide”. Queste si caratterizzano sia per un colore più pallido che per una diminuita capacità di ritenzione idrica (Lindahl et al., 2004).
Tra i diversi fattori post mortem, quello di maggiore rilevanza è l’acidificazione post mortem della carne, in particolare la velocità e l’intensità con cui questa avviene. Più rapido e più intenso è il processo, maggiore è la denaturazione della mioglobina e la tendenza ad assumere un colore pallido. Riprendendo le diversità tra i muscoli, in generale quelli con un pH a 24 ore post mortem basso tendono a presentare più rapidamente una colorazione bruna rispetto a quelli con un pH più elevato. La velocità e l’intensità della caduta di pH possono essere influenzate dal processo di raffreddamento delle carcasse. Oltre a ridurre la crescita dei microrganismi, la velocità di refrigerazione consente di limitare la denaturazione della mioglobina e l’insorgenza di pallore eccessivo nelle carni, specialmente nei muscoli più chiari dei suini. Quindi, la corretta gestione della catena del freddo e le temperature di refrigerazione durante la conservazione sono punti chiave per massimizzare la shelf-life e mantenere ottimale il colore della carne. Infatti, l’ossidazione della mioglobina e l’ossidazione dei lipidi sono accelerate dall’aumento della temperatura di conservazione. Particolare non trascurabile è la scelta dell’illuminazione del dispenser nel punto vendita perché l’intensità della luce durante l’esposizione al dettaglio influenza il tasso di scolorimento della carne (Mancini, 2009).

2) Cosa significa carne rosa?
La carne suina è definita rosa sulla base della sua colorazione che risulta intermedia tra quelle definite bianche (pollo e vitello) e rosse (vitellone e bovino adulto). Da quanto riportato in premessa sui fattori determinati il colore della carne, questo posizionamento riflette, in primo luogo, il suo contenuto intermedio di mioglobina rispetto alle carni bianche e rosse. Da ciò discende che la carne rosa di suino ha un contento di ferro in forma organica (ferro eme) intermedio rispetto quello della carne di pollo e della carne bovina (Lombardi-Boccia et al., 2002). Al colore rosa è associato il giudizio positivo dei consumatori i termini di freschezza. Infatti, agli occhi dei consumatori la carne fresca di suino deve avere un colore rosa intenso uniforme (Van Oecckel et al., 1999), mentre sono considerati come anomali le colorazioni rosa pallide, quasi bianche, o scure.

4) Quali caratteristiche definiscono la carne rosa?
Come già riportato in precedenza, la prima caratteristica della carne che il consumatore apprezza è il colore. Quindi la sua misurazione è di fondamentale importanza per definire se la carne è rosa.La valutazione del colore della carne suina, come quello di altre specie zootecniche, può essere effettuata utilizzando metodi strumentali, ripetibili e indipendenti dall’osservatore, o impiegando metodi soggettivi. In generale, entrambe le metodologie prevedono che Il colore venga valutato 24 ore dopo la macellazione o nei giorni successivi al fine di evidenziare eventuali alterazioni del colore durante la conservazione e/o la vendita al dettaglio. Il colore viene valutato dopo aver esposto la superficie di taglio della carne all’aria per almeno 30 minuti affinché si verifichi il blooming, ossia la formazione di ossimioglobina su tale superficie.
I metodi oggettivi più utilizzati si basano sull’impiego di colorimetri che misurano le coordinate dello spazio cromatico, comprendente tutti i colori che possono essere percepiti da occhi umani “normali”, definito nel 1931 dalla Commission Internationale de l’Eclairage (CIE). Nel 1976 è stato proposto dalla suddetta Commissione lo spazio CIELAB (1976) che ha la forma di una sfera ed è utilizzato per la descrizione numerica della percezione cromatica dell’occhio umano. È mappato su uno spazio intero tridimensionale definito da tre coordinate chiamate L*, a* e b* che permettono la rappresentazione digitale dei colori indipendente dal dispositivo utilizzato (Warriss, 2010).
In questo sistema, la coordinata L* rappresenta la luminosità ed è collocata lungo l’asse verticale, variando da 0 (nero) a 100 (bianco). La coordinata a* è rappresentata sull’asse X e corrisponde al colore verde quando il suo valore è negativo e a quello rosso quando il suo valore è positivo. La coordinata b* è rappresentata sull’asse Y e corrisponde al colore blu quando il suo valore è negativo e a quello giallo quando il suo valore è positivo. Al centro del sistema il colore è grigio neutro ed è descritto dalle seguenti coordinate: L*=50, a*=0, b=0.
Le due coordinate a* e b* permettono inoltre di definire altri due parametri di facile e immediata comprensione, il Croma o intensità di colore o indice di saturazione, che indica  la percentuale di colore puro presente, ossia la forza con cui un colore si stacca dal colore neutro (per Croma pari a 0 si ha il colore grigio) e la Tinta o rapporto tra la componente rossa e quella gialla, che indica, con una misura angolare, la tonalità del colore (per Tinta pari a 0 si ha il colore porpora).
I valori L*, a* e b* sono comunemente misurati per valutare il colore della carne mediante colorimetri in grado di calcolare sia i valori delle coordinate colorimetriche L*a*b* che il Croma e la Tinta. Nelle pubblicazioni scientifiche nelle quali si misura il colore della carne questo è misurato principalmente utilizzando il sistema CIELAB basato sulle coordinate colorimetriche usando i valori L* a* b* (Tapp et al., 2011).

Figura 3. Spazio colorimetrico CIELAB (1976) in cui sono rappresentate le coordinate colorimetriche L* a* b*, il Croma e la Tinta (Hue) (da http://the-print-guide.blogspot.com/2010/04/tolerancing-color-in-presswork-cie-lab.html).

Quindi, sulla base delle coordinate L*a*b* è possibile definire quando la carne suina è oggettivamente rosa. Tuttavia, i valori entro i quali la carne suina è classificata come rosa non sono univoci. Tali valori, unitamente alle motivazioni che li differenziano sono riportati nel paragrafo successivo.Il colore rosa della carne suina può esser valutato soggettivamente in maniera rapida ed economica ma il giudizio è indubbiamente influenzato da come il valutatore percepisce i diversi colori. Per superare tale difficoltà, sono state proposte delle scale di riferimento basate su fotografie o su riproduzioni in resine plastiche. Sono quindi disponibili delle scale di valutazione che si basano su una serie di “piastrelle” di colore con le quali vengono confrontati i campioni di carne. Ad esempio, il Japanese Color Standard (JCS) (Nakai et al., 1975) utilizzato per valutare il colore della carne suina si basa su sei tessere che variano dal colore pallido=1 al colore scuro=a 6. I valori da 3 a 5 sono considerati favorevoli, mentre i valori di 1 e 2 sono associati a carne pallida ed essudativa e un valore di 6 con carne DFD. Negli Stati Uniti, il National Pork Producers Council (NPPC) e il National Pork Board hanno sviluppato uno standard di riferimento fotografico da utilizzare nella valutazione del colore della carne suina fresca (NPPC 2000, National Pork Board 2010), riportato in Figura 4. Poiché sia il tipo di illuminazione che la sua intensità possono modificare il colore percepito nella valutazione soggettiva, è importante che questa avvenga in condizioni di luce riproducibili e costanti.

Figura 4. Standard di riferimento fotografico per la valutazione del colore della carne suina fresca (NPPC 2000, National Pork Board 2010)

La scala della NPPC e del National Pork Board è costituta da sei classi di colore con luminosità decrescente, alla cui estremità sono poste le carni PSE (Pale pinkish gray to white: classe 1) e quelle DFD (Dark purplish red: classe 6). La classe 3 (Reddisch pink), ossia il rosa intenso, corrisponde a quella ideale e lo standard fotografico la rappresenta in maniera realistica, fornendo al valutatore un riferimento preciso per il suo riconoscimento. La classe 4 (Dark reddish pink) si differenzia da quella ideale per un colore che vira verso lo scuro, mantenendo comunque una colorazione rosa intenso. Le classi 2 (Grayish pink) e la classe 5 (Purplish red) sono quelle più simili, rispettivamente, alle carni colpite dalle anomalie PSE e DFD. La prima presenta un colore rosa ma ancora troppo debole e tendente al grigio mentre la seconda assume un colore rosso porpora prossimo a quello violaceo della carne DFD.Un aspetto sicuramente interessante riguarda l’indicazione, per ciascuna delle sei classi di qualità, della misurazione della coordinata colorimetrica L*, che lega la valutazione soggettiva a quella misurabile strumentalmente con un colorimetro. Inoltre, viene definita anche il tipo di sorgente di luce che utilizza lo strumento, ossia quella diurna, indicata come D65. Come è possibile vedere dalla Figura 4, il valore di L* passa da 61 nella classe 1 corrispondente alla carne PSE a 31* nella classe 6, relativa alla carne DFD. Alla classe 3, quella considerata ideale, corrisponde un valore di L* pari a 49. La scelta di riportare la coordinata colorimetrica L* in uno standard soggettivo si basa sul fatto che questa è correlata con la valutazione visiva del colore rosa (Brewer et al., 2001) e quindi si presta meglio per individuare la sua variazione tra gli estremi PSE e DFD.

5) Quali sono le proprietà organolettiche che possiede?
Come già sopra indicato, sulla base delle coordinate colorimetriche L*a*b* è possibile definire oggettivamente il colore della carne suina. Nell’ambito della ricerca scientifica, la classificazione del colore della carne suina posiziona agli estremi le carni colpite dalle animali e PSE e DFD, rispettivamente pallide e scure, mentre quella con la colorazione rosa viene definita come RFN (Reddish pink, Firm, Nonexudative) traducibile letteralmente come rosa rossastro o, in linguaggio corrente, come rosa intenso. Oltre al colore, la carne di colore rosa si associa ad un valore di pH a 24 ore post mortem ed una capacità di trattenere l’acqua intermedia tra quelle colpite dalle anomalie PSE e DFD, come si evidenzia, riguardo al taglio della lombata, nelle Tabelle 1 e 2. Quindi, il colore rosa della carne suina è associato a caratteristiche tecnologiche ottimali in termini di acidità e di capacità di ritenzione idrica per la qualità della carne suina destinata sia al consumo fresco che alla trasformazione.  Tabella 1. Valori medi e deviazioni standard delle principali caratteristiche qualitative che definiscono le classi PSE, RFN e DFD (Barbin et al., 2012; modificata)

Classificazione carne suina Luminosità (Valore L*) pH 24 h post mortem Perdite di sgocciolamento (%)
PSE 53,1 ± 1,7 5,45 ± 0,08 7,0 ± 1,5
RFN 47,2 ± 2,8 5,59 ± 0,15 3,8 ± 0,6
DFD 39,4 ± 1,9 6,11 ± 0,19 0,6 ± 0,2

PSE= carni pallide, soffici ed essudative; RFN= carni rosa intenso, sode e non essudative; DFD= carni scure, sode e asciutte. Tabella 2. Valori medi e deviazioni standard delle principali caratteristiche qualitative delle carni RFN, PSE e DFD (Juzl et al., 2012; modificata)

Colore pH 24 h post mortem Perdite di sgocciolamento (%)
L* a* b*
PSE 65,17 ± 2,20 2,03 ± 1,26 13,27 ± 1,08 5,45 ± 0,11 4,13 ± 1,29
RFN 59,36 ± 3,46 2,09 ± 1,73 12,20 ± 1,60 5,53 ± 0,13 2,87 ± 0,67
DFD 46,28 ± 1,29 1,25 ± 0,80 6,88 ± 0,57 6,31 ± 0,20 1,61 ± 0,27

PSE= carni pallide, soffici ed essudative; RFN= carni rosa intenso, sode e non essudative; DFD= carni scure, sode e asciutte.La carne di colore rosa intenso si differenzia non solo dalle carni colpite dall’anomali PSE ma anche da quelle definite “acide” e, come indicato in precedenza, caratterizzate da un colore più pallido e, ovviamente, da un pH a 24 ore post mortem anormalmente basso. Ciò si evidenzia bene dai dati riportati in Tabella 3 nella quale le carni rosa presentano non solo valori di pH e coordinate colorimetriche appropriati ma anche una migliore ritenzione idrica, come evidenziato dalle minori perdite di sgocciolamento. Tabella 3. Valori medi e deviazioni standard delle principali caratteristiche qualitative delle carni RFN, PSE e “Acide” (Zelechowska et al., 2012; modificata).

Colore pH 24 h post mortem Perdite di sgocciolamento (%)
L* a* b*
PSE 54,34 ± 2,84 16,57 ± 0,88 5,24 ± 1,63 5,46 ± 0,08 3,91 ± 1,26
RFN 51,45 ± 1,39 15,84 ± 0,97 4,69 ± 0,22 5,64 ± 0,04 2,89 ± 0,86
“Acide” 56,20 ± 0,66 16,37 ± 1,33 5,92 ± 0,63 5,35 ± 0,03 3,60 ± 0,82

PSE= carni pallide, soffici ed essudative; RFN= carni rosa intenso, sode e non essudative. Oltre alle carni rosa intenso, PSE, DFD e acide, nella valutazione a fini scientifici sono incluse altre due categorie che si caratterizzano per avere solo in parte le caratteristiche tecnologiche ottimali presenti contemporaneamente nella carne rosa. La prima di queste, definita RSE (Reddish-pink, Soft and Exudative), presenta un colore normale, ossia rosa intenso, ma la sua consistenza è soffice e la sua ritenzione idrica scarsa. La seconda, definita PFN (Pale, Firm, Nonexudative) è di colore pallido ma la consistenza e la ritenzione idrica sono paragonabili alle carni normali. A fini esplicativi, si riportano nelle Tabelle 4 e 5 le caratteristiche di tutte le categorie qualitative della carne suina sopra descritte e riferibili al taglio della lombata. Tabella 4. Medie delle principali caratteristiche delle diverse categorie di qualità della carne suina (Faucitano et al., 2010; modificata).

Classificazione carne suina Luminosità (Valore L*) pH 24 h post mortem Filter Paper Wetness(*)
PSE 53,41 5,52 125,10
PFN 52,54 5,58 45,12
RSE 46,43 5,67 99,84
RFN 45,92 5,71 33,16
DFD 40,54 6,21 24,60

(*) Metodo di valutazione della capacità di ritenzione idrica ove ad un valore più alto corrisponde una minore ritenzione idrica. PSE= carni pallide, soffici ed essudative; PFN= carni pallide, sode e non essudative; RSE= carni rosa intenso, soffici ed essudative; RFN= carni rosa intenso, consistenti e non essudative; DFD= carni scure, consistenti e asciutte. Tabella 5. Valori medi e deviazioni standard delle principali caratteristiche delle diverse categorie di qualità delle carni suine (Kim et al., 2017; modificata).

Colore pH 24 h post mortem Perdite di sgocciolamento (%)
L* a* b*
PSE 52,21 ± 1,68 6,46 ± 1,21 3,35 ± 1,09 5,71 ± 0,10 6,66 ± 1,45
PFN 51,44 ± 1,20 6,04 ± 1,16 3,37 ± 1,11 5,77 ± 0,14 4,12 ± 0,62
RSE 47,82 ± 1,43 6,60 ± 1,34 2,62 ± 0,81 5,80 ± 0,11 6,35 ± 1,20
RFN 47,33 ± 1,71 6,28 ± 0,95 2,65 ± 0,87 5,81 ± 0,12 3,68 ± 0,80
DFD 41,76 ± 0,06 6,91 ± 0,24 1,95 ± 0,72 6,21 ± 0,26 1,93 ± 0,04

PSE= carni pallide, soffici ed essudative; PFN= carni pallide, sode e non essudative; RSE= carni rosa intenso, soffici ed essudative; RFN= carni rosa intenso, consistenti e non essudative; DFD= carni scure, consistenti e asciutte. Da queste ultime tabelle si evidenzia come la carne RFN mantenga le migliori caratteristiche tecnologiche rispetto alle altre categorie qualitative della carne suina. Dal punto di vista applicativo diventa essenziale avere dei valori soglia che permettano di classificare le carni secondo le categorie sopra illustrate. Negli ultimi due decenni ne sono state proposte alcune basate sul pH, sul colore, in particolare sulla coordinata L*, e sulla capacità ritenzione idrica, confrontate recentemente da Cazedey et al. (2016). Alcune delle principali soglie riportate nella letteratura sono illustrate nella Tabella 6.

Tabella 6. Classificazione della qualità della carne suina sulla base del pH a 24 ore post mortem, della coordinata L* e della capacità di ritenzione idrica sulla base dei criteri proposti e riportati nella letteratura scientifica (Cazedey et al., 2016; modificata).

Autori Categoria qualità carne pH 24 ore post mortem L* (luminosità) Capacità di ritenzione idrica
Perdite di sgocciolamento (%) FPW (*) (mg)
PSE > 58 > 5
KAUFFMAN et al. (1993) RSE 52 – 58 > 5
RFN 52 – 58 < 5
DFD < 52 < 5
PSE > 55 > 100
WARNER et al. (1993) RSE 47 – 55 > 100
RFN 47 – 55 < 100
DFD < 47 < 100
PSE < 6,0 > 50 > 5
WARNER et al. (1997) RSE < 6,0 42 – 50 > 5
RFN < 6,0 42 – 50 < 5
DFD ≥ 6,0 < 42 < 5
PSE > 53
MAGANHINI et al. (2007) RFN 45 – 53
DFD < 45
PSE < 6,0 > 50 ≥ 80
FAUCITANO et al. (2010) RSE < 6,0 43 – 48 ≥ 80
RFN < 6,0 43 – 48 < 80
DFD ≥ 6,0 < 42 < 80

(*) Metodo di valutazione della capacità di ritenzione idrica ove ad un valore più alto corrisponde una minore ritenzione idrica. PSE= carni pallide, soffici ed essudative; PFN= carni pallide, sode e non essudative; RSE= carni rosa intenso, soffici ed essudative; RFN= carni rosa intenso, consistenti e non essudative; DFD= carni scure, consistenti e asciutte. Riguardo alla coordinata L* del colore, i valori soglia riportati da diversi Autori per medesime categorie di qualità non sono esattamente sovrapponibili, anche se le differenze tra i limiti di ciascuna categoria di qualità appaiono comunque contenute. Tali difformità dipendono dal fatto i valori soglia per la coordinata L* sono stati elaborati su campioni di soggetti diversi fra loro e sottoposti a condizioni pre- e post mortem non uniformi. Rimane comunque da sottolineare che una standardizzazione internazionale delle categorie di qualità della carne suina basate sul colore non appare realistica perché esiste comunque una diversità nella valutazione di questa caratteristica basata sulle preferenze dei consumatori, a loro volta legate ai costumi e alle tradizioni dei singoli Paesi (Ngapo et al., 2007). Solo le caratteristiche tecnologiche prima citate caratterizzano in maniera netta la carne rosa rispetto alle altre categorie. Infatti, se si prendono in esame le caratteristiche di composizione associate con la carne suina ritenuta ottimale e definita RFN, ossia di colore rosa intenso, di consistenza soda e non essudativa, non emergono particolari differenze con le altre classi di qualità. Infatti, i contenuti di umidità, di proteina e di grasso intramuscolare non mostrano variazioni di rilievo tra la carne RFN, RSE, PSE e DFD (Kim et al., 2013; Kim et al., 2017). Anche le caratteristiche sensoriali, ad eccezione di quelle legate all’apparenza, non si differenziano in maniera significativa tra le categorie sopraccitate (Norman et al., 2003; Nam et al., 2009), incluse le carni acide (Zelechowska et al., 2012).Nella tabella 7 sono riportati i risultati di una ricerca in cui è stato esaminato il legame tra le classi di colore individuate da NCCP (2000) e le valutazioni espresse da un campione di 47 consumatori riguardo al gradimento generale e a quello di tre caratteristiche sensoriali importanti quali la tenerezza, la succosità e l’aroma dopo la cottura ed il consumo nelle loro abitazioni (Norman et al., 2003). Le differenze statisticamente significative nei punteggi che esprimono il gradimento generale e quello delle tre caratteristiche qualitative, oltre ad essere molto contenute, riguardano solo la tenerezza e la succosità, che sono caratteristiche legate alla diversa capacità di ritenzione idrica delle tre categorie di colore esaminate, mentre i punteggi per il gradimento generale e l’aroma non hanno mostrato differenze significative perché ciascun consumatore ha preparato e utilizzato le porzioni secondo le sue abitudini.  Tabella 7. Punteggio (*) di gradimento complessivo e della tenerezza, succosità e aroma di lombo suino classificato in base alle classi di colore del NCCP (Norman et al., 2003; modificata).

Classi di colore del National Pork Producers Council (2000)
1 – 2(Pale pinkish – Grayish pink) 3 – 4(Reddisch pink –

Dark reddish pink)

5 – 6(Dark purplish red – Purplish red)
Gradimento della tenerezza 7,1 7,0 7,4
Gradimento della succosità 6,7 6,8 7,3
Gradimento dell’aroma 7,4 7,3 7,5
Gradimento complessivo 7,4 7,3 7,5

Entro riga, i numeri in grassetto indicano differenze statisticamente significative. (*) Scala di punteggio soggettivo costituita da 9 classi in cui 1=estremo disgusto e 9= estremo apprezzamento.  Inoltre, le diverse classi di colore non sembrano influenzare una caratteristica importante quale la shelf life. In uno studio su 117 lombi, classificati a 24 ore post mortem sulla base delle cinque diverse classi di qualità (PSE, PFN, RFN, RSE e DFD) e conservati sotto vuoto a +4°C per 35 giorni, la carica batterica totale è risultata più elevata nelle carni DFD, a causa del pH finale più alto, e in quelle RSE, mentre PFN, RFN e PSE hanno mostrato cariche batteriche simili (Faucitano et al., 2010).

6) Chi certifica la qualità e la tracciabilità?
In Italia esistono, a livello regionale, diversi disciplinari di produzione della carne suina QC (Qualità Controllata) nei quali non si riporta alcuna indicazione sul colore ma solo riferimenti generici finalizzati all’esclusione delle carni colpite dalle anomalie PSE e DFD.  Una chiara indicazione sul colore lo si trova nel disciplinare della carne suina “Cinta Senese” DOP che specifica chiaramente che questo deve essere rosa acceso e/o rosso. Tale scelta appare pienamente adeguata, tenendo conto della peculiarità della razza, quale il lento accrescimento e l’età di macellazione avanzata. L’inclusione della valutazione del colore della carne in una certificazione di qualità necessita della definizione delle caratteristiche colorimetriche ritenute ottimali e della scelta di uno o più metodi di valutazione per accertarle. Uno degli aspetti essenziali in un sistema di certificazione del colore è la conoscenza della sua variabilità nei tagli di maggiore valore economico e di maggiore richiesta commerciale, dato che questa, come già descritto, è legata a diversi fattori che agiscono sia ante che post mortem. Tale conoscenza, infatti, è essenziale per stabilire le soglie entro le quali il taglio deve essere accettato al fine di soddisfare le richieste degli attori a valle della certificazione.
La certificazione del colore, insieme ad altre caratteristiche qualitative della carne, può essere effettuata all’interno di un disciplinare accettato da un consorzio il quale se ne assume l’onere, oppure può essere delegata ad un ente certificatore, mantenendo comunque la responsabilità di individuare preliminarmente quale sia la colorazione ideale e come questa caratteristica possa essere misurata rapidamente ed economicamente all’interno di un sistema di qualità.
A titolo d’esempio, è interessante citare nuovamente quello della carne di Cinta Senese DOP che, nel disciplinare, indica il colore “rosa acceso e/o rosso” come quello ideale. Con ciò viene identificata come ottimale una colorazione ampia, in grado di includere una variabilità sicuramente accettabile per il consumo e la trasformazione, senza che questa rappresenti un vincolo troppo stringente nell’ambito della certificazione. Dato che nel disciplinare non segue alcuna specifica sul metodo di valutazione, appare conseguente che per l’accertamento del colore possa essere utilizzato sia un metodo soggettivo, particolarmente adatto al volume di carne prodotta dalla razza e alla dimensione degli impianti di macellazione del territorio di produzione, che uno strumentale.
Nell’ambito di un sistema di certificazione all’interno di un consorzio di dimensioni più ampie, la valutazione oggettiva assume un ruolo particolarmente importante, in particolare se può essere svolta in linea con sistemi automatici. È stato citato più volte il colorimetro che permette di misurare oggettivamente la colorazione della carne. Tuttavia, il suo uso è rimasto confinato nell’ambito della ricerca scientifica a causa del costo e dei tempi necessari per la misura, non sempre adatti alla velocità delle linee di lavorazione delle carni.
Nell’ultimo decennio sono stati proposte, oltre al colorimetro, numerose tecnologie non invasive adatte a valutare il colore della carne e, insieme a questo, altre caratteristiche, in particolare la composizione centesimale e la qualità del grasso. La spettroscopia nel vicino infrarosso è sicuramente la tecnica al momento più studiata, disponendo di strumenti portatili o fissi in grado di operare su una linea di macellazione (Barbin et al., 2012; Prieto et al., 2017; Monroy et al., 2010). Tuttavia, come illustrato nella Figura 5, se si prendono come riferimento le classi della NPPC e della NPB (2010) la tecnica NIRS deve essere ben calibrata, vista la vicinanza, per tutte le lunghezze d’onda, delle curve che identificano le carni RFN e RSE (Castro-Giraldez et al., 2008)

Figura 5. Spettro visibile delle diverse categorie di qualità della carne (Castro-Giraldez et al., 2008)

Oltre al NIRS, è stata nell’ultimo decennio sono state studiate numerose applicazioni della Video Images Analysis (VIA) grazie alla possibilità di utilizzare numerosi strumenti, tra i quali le attuali macchine fotografiche, in grado di acquisire un’immagine digitale ed elaborarla per individuare le coordinate colorimetriche del sistema CIE L*a*b* o di altri sistemi colorimetrici (Chmiel et al., 2011; Valous et al., 2016), o per riconoscere il singolo taglio e tracciarlo all’interno dello stabilimento di macellazione (Larsen et al., 2014).Per quanto riguarda la tracciabilità, è certamente possibile immaginare l’inclusione della rilevazione del colore e di altre caratteristiche direttamente nel sistema di etichettatura ma non come un’indicazione a sé stante, piuttosto come un’informazione sulla presenza di caratteristiche qualitative che rendono le carni suine idonee per l’uso a cui sono destinate. Al momento non sono disponibili esempi applicativi, ma è da supporre che il limite nell’includere il colore della carne in un sistema di etichettatura sia la sua variabilità. Quindi la misurazione di questa caratteristica diventa l’ultimo di una serie d’interventi negli step di produzione e di macellazione che hanno proprio come fine il raggiungimento di una costanza non solo nella sua composizione e nelle sue caratteristiche sanitarie ma anche nel colore rosa intenso che gli utilizzatori visivamente apprezzano.

ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITA’ DI BOLOGNA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE E TECNOLOGIE AGRO-ALIMENTARI

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